giovedì 23 aprile 2020

AUGURI TERRA!

Oggi, anzi già ieri, si è celebrata la Giornata della Terra 2020. Un anniversario rotondo come il Pianeta che lo celebra. Si spengono le 50 candeline per questa festa universale, figlia dei figli dei fiori, e delle migliori energie dei “sixties”. L'Earth Day fu celebrato per la prima volta nel 1970, dopo esser sceso dal “Big Yellow Taxi” di Joni Mitchell. Quello stesso anno l'Overshoot Day cadeva quasi esattamente a fine anno, il 29 dicembre, prima di avviare il suo cammino a ritroso nel calendario, fino al 29 luglio, dove si è fermato l'anno scorso.
Nessuno avrebbe immaginato di festeggiare questi 50 anni in questa maniera, la peggiore dal nostro punto di vista, eppure la migliore, forse, dal punto di vista della Terra, che torna a respirare mentre noi indossiamo delle mascherine; torna a muoversi libera, con la sua biodiversità superstite, mentre noi restiamo confinati nelle nostre mura. Non c'é contrasto che possa rappresentare in maniera più stridente la nostra siderale distanza dal Pianeta sul quale pur viviamo, non c'è evidenza più cocente di quella che si sta facendo strada al nostro intelletto, in questi giorni: ciò che è morte per noi, appare invece vita per il Pianeta e i suoi (altri) abitanti.
Inevitabilmente ci siamo fermati a pensare, abbiamo dovuto fermarci a pensare. E se prima eravamo abituati a farlo in movimento, nel ritmo convulso dei nostri giorni, ora lo stiamo facendo in un inatteso stato di quiete. Mettendo le radici nella nostra realtà domestica, possiamo crescere nuovi pensieri, verdi come le chiome di un albero, attingendo ispirazione dalla statica saggezza delle piante che ci circondano. Con la consapevolezza che per guarire dalla nostra pandemia, dobbiamo starcene un poco più fermi.
 
In questa condizione, la natura con la quale possiamo familiarizzare non è quella “celebre” di un parco nazionale, o quella sconfinata di una cartolina, ma semplicemente quella che ci circonda, quella che vediamo dal balcone, o che ci aspetta appena fuori dal cancello. Egualmente la Terra che celebriamo, non è quella delle statistiche o delle campagne ambientaliste, delle enfasi ideologiche o dei video guerriglieri che la mostrano in fiamme, ma semplicemente quella che scambia il respiro con noi, con la quale fraternizziamo, condividendo il ritrovato silenzio, in un intimo senso di comunità, di collaborazione. Alla ricerca di un microcosmo nel quale sentirci di nuovo liberi.





Quello nella foto è il piccolo miracolo che sto vedendo crescere da settimane a pochi metri da casa. Così sorprendente, eppure così normale. Si tratta di un agguerrito plotone di dune embrionali, che resiste alla forza degli elementi, nel bel mezzo della spiaggia commerciale , al termine di una infilata di concessioni, che solo l'estate scorso sarebbe culminata con il palco del Beach Village di Jovanotti, se il concerto non fosse stato annullato. Sono collinette di sabbia, che si aggrappano attorno a un presidio vegetale, per non essere trascinate via. Sembrano persone, teste di un esercito in trincea che riemerge in superficie dopo la scomparsa del nemico, e si guarda intorno chiedendosi se sia davvero andato via. I loro capelli sono Ginestrini e Silene colorata, attorno ai quali ronzano, come idee in germoglio, bande di insetti pronubi. Inseguiti da rondini, e balestrucci, che sfiorano quella minuscola oasi, fiorita nel deserto della spiaggia commerciale. In un crescendo, la vita attira altra vita.
 
Girando le spalle, a pochi passi dalle dune embrionali, vedo qualcos'altro. Anzi non vedo nulla, ed è proprio lì che sta il bello. Rimane solo un dosso, a ricordarmi che lì giace un tronco, sotto una coperta di sabbia, lavorata dai venti per alcune settimane, un tronco arrivato con le mareggiate, che sta terminando naturalmente il suo ciclo di vita, contribuendo a ripascere la spiaggia, fornendo alloggio, e nutrimento, alle biocenosi degli ambienti litoranei. Qualcosa di sorprendente, eppure così normale, di una normalità -o naturalità- che però non è concesso vedere su una spiaggia turistica. Già da marzo agli operatori balneari, ai funzionari comunali, cominciano a prudere le mani. Bisogna cominciare a preparare la spiaggia! E quel poco di naturalità che questa riacquisisce durante l'inverno, viene sacrificata senza remore sull'altare della nuova stagione estiva. Per questo, già all'appressarsi della primavera, non è possibile vedere un tronco sostare sulla spiaggia più di qualche giorno, non è possibile seguire il processo che lo porta a inabissarsi nel mare di sabbia come una nave che lentamente va a fondo. Per questo è impossibile vedere nascere e crescere delle dune embrionali proprio di fronte al cemento armato di una concessione balneare. 

 



Concludo con un'ultima foto, scattata in queste settimane, all'indomani di una violenta mareggiata che ha riempito la battigia, di ceppi, tronchi, canne. È tutta roba che proviene dal fiume, non vi sono alghe, o piante marine, tra i ceppi scovo anche il cadavere di una rana. La straordinaria massa di detriti organici fa eccezionalmente passare inosservati i rifiuti di plastica, che pure affiorano qua e là. È una foto che restituisce la spiaggia come luogo di approdo e ripartenza, di accumulo e rilascio di energie, Un luogo selvaggio, che non è fatto per essere pulito, e tantomeno “più pulito” di prima. 
 
Da circa una settimana la Regione Abruzzo ha “riaperto” le spiagge, consentendo ai concessionari di cominciare a effettuare le operazioni di preparazione degli arenili. Ci siamo ovviamente preoccupati per il Fratino che, nel frattempo, vista la ritrovata privacy e libertà di movimento, potrebbe aver nidificato anche in zone off limits. Trovandosi in una situazione di maggior rischio. Sembra finito l'incanto. Gli operatori balneari, invece di soffermarsi con attenzione su quanto è accaduto sulla spiaggia in loro assenza, per trarne insegnamento, porteranno via tutto, ritornando a distruggere quell'ambiente che pure gli dà sostentamento economico; porteranno via tronchi, conchiglie, piante, e purtroppo spianeranno anche quel gruppo di giovanissime dune - al quale mi sono nel frattempo affezionato - che ora affollano una spiaggia altrimenti deserta. Chissà da quanti anni - mi chiedo -non spuntavano delle dune embrionali in quel tratto di spiaggia. Forse anche da 50, da quando è stata istituita la Giornata della Terra.





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