domenica 17 maggio 2020

C'ERA DUNA VOLTA


Tanto i prodotti seriali del consumo hanno invaso le nostre spiagge, che a molti risulta “naturale” scambiare per tali le uova di Neverita josephinia: nastri di cartone, oppure cialde, coppette ricamate. Invece, semplici, stupefacenti agglomerati di uova e sabbia. Ce ne sono a centinaia sulla spiaggia, a seguito delle ultime mareggiate. Una volta tanto, non i nostri rifiuti, bensì i segnali di vita di un universo sconosciuto che pulsa a pochi metri dai nostri piedi nudi. A compensare l'assenza di nidi di fratino, anche alcuni grappoletti di uova di seppia, la cosiddetta “uva di mare”. Tanta fecondità non può che stridere drasticamente con l'opera di “sterilizzazione” in atto. 
 
L'uomo ha ripreso possesso già da alcuni giorni della “sua” spiaggia, per questo lo sciabordio dell'acqua è sovrastato dal rumore di ruspe e trattori, che lavorano incessantemente. E quel meraviglioso drappello di dune embrionali, inaspettatamente creatosi nel bel mezzo della spiaggia “commerciale”, che ho raccontato in un mio precedente post, è oramai solo un ricordo del periodo “felice” della quarantena. Oggi ci sono i mezzi meccanici a dissodare, livellare, rastrellare ogni segnale di vita di quell'universo, rendendo la spiaggia soffice, come il suolo di un resort, per l'arrivo dei bagnanti. Tutte cose viste e riviste mille volte. Prima ancora che intervenissero i trattori, quelle piante le avevano però già strappate via. Come se fossero un'eresia, un abominio. Perché purtroppo è così: per tanti balneatori, per tanti amministratori, la naturalità delle spiagge è qualcosa di cui vergognarsi, un male da estirpare alla radice.




La monocoltura dell'ombrellone non ammette alcuna ottica di sinergia, come è ben detto in questo articolo intitolato “Distanziamento ambientaleai tempi del Coronavirus”. Per tanti balneatori, che pure godono di un reddito grazie alla spiaggia, quelle piante non hanno probabilmente nemmeno un nome. Sono solo erbacce. Magari si tratta di persone che hanno anche un giardino nelle loro case, o una terra, e sanno distinguere tra una cicoria e una malva. Perché quelle sì, sono senz'altro piante, forse hanno una dignità e un posto nel loro ristretto mondo, mentre sulla spiaggia no, sono uno sbaglio divino, una maledizione. Sulla spiaggia una espressione vegetale è più inaccettabile di un rifiuto di plastica. A costoro, il fatto che nel periodo di quarantena la natura abbia ripreso molti dei suoi spazi, non suggerisce che forse dovremmo riconsiderare i nostri spazi in maniera più inclusiva; che hanno ancora perso una ottima occasione per far vedere ai propri clienti come fiorisce il deserto, creando -o più semplicemente lasciando esistere- un piccolo giardino botanico dunale. Non li induce a mutare nemmeno la considerazione che quel tratto di spiaggia di fatto non gli appartenga, e non possono decretarne vita o morte, tanto più per habitat protetti da direttive europee, perché sono solo concessionari di un bene pubblico, che dunque dovrebbero saper gestire nell'interesse pubblico, pur traendone legittimamente guadagno. E l'interesse pubblico sta nell'accrescimento della biodiversità, piuttosto che delle loro sedie a sdraio. Ma d'altronde, perché dovrebbero darsi pena di capire e far capire qualcosa in più, quando quasi nessuna Amministrazione si preoccupa di educare i suoi cittadini con dei pannelli informativi?

 
Queste persone, che depauperano la spiaggia di tutti i depositi organici, di tutte le forme di vita, che pure la difendono, la accrescono, sono le stesse persone disposte a illudersi che la frutta provenga dal supermercato; e se ancora sono in grado di risalire all'arduo concetto che i frutti provengono dagli alberi, mai e poi mai arriveranno a riconoscere che è grazie agli insetti pronubi, che gratuitamente trasportano il polline, se quei frutti sono arrivati a maturazione, quindi sui loro piatti. Esattamente quegli stessi insetti che pullulavano su quelle stupide, insignificanti dune embrionali, tra fiori di silene e ginestrino. Persone che vogliono godere dei frutti della Natura, senza pensare in contraccambio, di dover contribuire alla fecondità della vita. Persone che, in altro contesto, passano a diseccare ogni forma di vita attorno ai loro olivi. Salvo poi chiedere gli aiuti dello stato e invocare lo stato di calamità quando a disseccarsi sono gli stessi olivi. Lì coltivazioni di olivi, qui di ombrelloni. Dove si spreme l'olio solare, spesso così dannoso per la vita del mare, e le barriere coralline.


Leggo la recente notizia di una invasione di cavallette in provincia di Nuoro, che sta distruggendo qualunque orto o campo coltivato trovi sul suo cammino. Coldiretti afferma nell'articolo riportato da Ansa che "L'unica speranza è nei predatori naturali, come gli uccelli che potrebbero aiutare a contenere le popolazioni di locuste”. Fa piacere che finalmente si cominci a scrivere che la lotta biologica è l'unica arma veramente efficace contro parassiti e insetti nocivi... ma gioverebbe allora anche ricordare che gli uccelli non esistono solo quando ci fanno comodo. Hanno bisogno sempre, di nutrimento. E, per tornare a quel drappello di dune embrionali in fiore, esse richiamavano appunto gli insetti, che a loro volta richiamavano dei formidabili insettivori, come i balestrucci e soprattutto le rondini, la cui popolazione è in notevole declino, proprio a causa dei pesticidi la cui funzione sarebbe quella di garantire il proprio raccolto. Salvo poi vederlo distrutto quando arrivano le cavallette, ma le rondini non ci sono più. In un cortocircuito logico. In una dimostrazione di ignoranza che si rinnova ogni anno con le fioriture primaverili, e l'inizio della stagione balneare, cui si aggiunge quest'anno il sovraccarico di idiozia generato dal Coronavirus. Con le sanificazioni annunciate degli stabilimenti balneari, che si spera non spandano candeggina anche sulla sabbia, come avvenuto in Spagna. E la moltiplicazione dei rifiuti di plastica al vento. E i guanti pronti ad agguantare ignari pesci. 
Ma se la distanza minima di 3,5 mt tra ombrellone e ombrellone ci darebbe un giusto respiro, facendo somigliare meno ad allevamenti intensivi le nostre concessioni, come non preoccuparsi della compensazione che gli operatori balneari chiedono? Perché i legislatori gliela concederanno, come si denuncia in questo articolo intitolato “Spiagge libere addio? La Regione le regala agli stabilimenti balneari”, preoccupandosi di salvaguardare il loro fatturato, ma non altrettanto il “fatturato” della Natura, dal quale pure il primo dipende. Sembra che non riusciamo a imparare nulla dalle lezioni, in questa Italia che ha festeggiato il suo Overshoot day già da tre giorni. La rarefazione dell'uomo paradossalmente produrrà ulteriore rarefazione della natura. Le grandi ammucchiate di Jovanotti, e il distanziamento balneare, due situazioni tanto diverse, produrranno lo stesso drammatico effetto, se non si prende in considerazione l'adeguato distanziamento dalla natura. E il fatto che nella task force del Governo ci sia ora anche Donatella Bianchi, con la "competenza" acquisita durante il Jova Beach Party, non ci aiuta certo a stare tranquilli. Gli operatori balneari si allargheranno, passeranno a gestire anche le spiagge libere, arriveranno con i loro trattori a conquistare alla “civiltà” nuovi tratti semiselvatici di costa. E una volta che si saranno allargati, che avranno conquistato un diritto, sarà ben difficile farli tornare nei ranghi.


Così, tra prassi ed emergenza, continuano testardamente, scioccamente, anno dopo anno, a segare il tronco sul quale pur siedono, dilapidando senza un minimo di coscienza quel piccolo capitale che la natura gli ha affidato, e quando se lo ritroveranno eroso con le prime mareggiate autunnali, con i piedi nell'acqua piangeranno disgrazia. E ancora invocheranno aiuti dallo stato. Parleranno di catastrofe, quando si tratta semplicemente di inesorabile karma del dissennato turismo balneare.



Le uova di Neverita Josephinia

Nessun commento:

Posta un commento