Oggi,
anzi già ieri, si è celebrata la Giornata della Terra 2020. Un
anniversario rotondo come il Pianeta che lo celebra. Si spengono le
50 candeline per questa festa universale, figlia dei figli dei fiori,
e delle migliori energie dei “sixties”. L'Earth Day fu celebrato
per la prima volta nel 1970, dopo esser sceso dal “Big Yellow Taxi”
di Joni Mitchell. Quello stesso anno l'Overshoot Day cadeva quasi
esattamente a fine anno, il 29 dicembre, prima di avviare il suo
cammino a ritroso nel calendario, fino al 29 luglio, dove si è
fermato l'anno scorso.
Nessuno
avrebbe immaginato di festeggiare questi 50 anni in questa maniera,
la peggiore dal nostro punto di vista, eppure la migliore, forse, dal
punto di vista della Terra, che torna a respirare mentre noi
indossiamo delle mascherine; torna a muoversi libera, con la sua
biodiversità superstite, mentre noi restiamo confinati nelle nostre
mura. Non c'é contrasto che possa rappresentare in maniera più
stridente la nostra siderale distanza dal Pianeta sul quale pur
viviamo, non c'è evidenza più cocente di quella che si sta facendo
strada al nostro intelletto, in questi giorni: ciò che è morte per
noi, appare invece vita per il Pianeta e i suoi (altri) abitanti.
Inevitabilmente
ci siamo fermati a pensare, abbiamo dovuto fermarci a pensare. E se
prima eravamo abituati a farlo in movimento, nel ritmo convulso dei
nostri giorni, ora lo stiamo facendo in un inatteso stato di quiete.
Mettendo le radici nella nostra realtà domestica, possiamo crescere
nuovi pensieri, verdi come le chiome di un albero, attingendo
ispirazione dalla statica saggezza delle piante che ci circondano.
Con la consapevolezza che per guarire dalla nostra pandemia, dobbiamo
starcene un poco più fermi.
In
questa condizione, la natura con la quale possiamo familiarizzare non
è quella “celebre” di un parco nazionale, o quella sconfinata di
una cartolina, ma semplicemente quella che ci circonda, quella che
vediamo dal balcone, o che ci aspetta appena fuori dal cancello.
Egualmente la Terra che celebriamo, non è quella delle statistiche o
delle campagne ambientaliste, delle enfasi ideologiche o dei video
guerriglieri che la mostrano in fiamme, ma semplicemente quella che
scambia il respiro con noi, con la quale fraternizziamo, condividendo
il ritrovato silenzio, in un intimo senso di comunità, di
collaborazione. Alla ricerca di un microcosmo nel quale sentirci di
nuovo liberi.
Quello nella foto è il piccolo miracolo che sto vedendo crescere
da settimane a pochi metri da casa. Così sorprendente, eppure così
normale. Si tratta di un agguerrito plotone di dune embrionali, che
resiste alla forza degli elementi, nel bel mezzo della spiaggia
commerciale , al termine di una infilata di concessioni, che solo
l'estate scorso sarebbe culminata con il palco del Beach Village di
Jovanotti, se il concerto non fosse stato annullato. Sono collinette
di sabbia, che si aggrappano attorno a un presidio vegetale, per non
essere trascinate via. Sembrano persone, teste di un esercito in
trincea che riemerge in superficie dopo la scomparsa del nemico, e si
guarda intorno chiedendosi se sia davvero andato via. I loro capelli
sono Ginestrini e Silene colorata, attorno ai quali ronzano, come
idee in germoglio, bande di insetti pronubi. Inseguiti da rondini, e
balestrucci, che sfiorano quella minuscola oasi, fiorita nel deserto
della spiaggia commerciale. In un crescendo, la vita attira altra
vita.
Girando
le spalle, a pochi passi dalle dune embrionali, vedo qualcos'altro.
Anzi non vedo nulla, ed è proprio lì che sta il bello. Rimane solo
un dosso, a ricordarmi che lì giace un tronco, sotto una coperta di
sabbia, lavorata dai venti per alcune settimane, un tronco arrivato
con le mareggiate, che sta terminando naturalmente il suo ciclo di
vita, contribuendo a ripascere la spiaggia, fornendo alloggio, e
nutrimento, alle biocenosi degli ambienti litoranei. Qualcosa di
sorprendente, eppure così normale, di una normalità -o naturalità-
che però non è concesso vedere su una spiaggia turistica. Già da
marzo agli operatori balneari, ai funzionari comunali, cominciano a
prudere le mani. Bisogna cominciare a preparare la spiaggia! E quel
poco di naturalità che questa riacquisisce durante l'inverno, viene
sacrificata senza remore sull'altare della nuova stagione estiva. Per
questo, già all'appressarsi della primavera, non è possibile vedere
un tronco sostare sulla spiaggia più di qualche giorno, non è
possibile seguire il processo che lo porta a inabissarsi nel mare di
sabbia come una nave che lentamente va a fondo. Per questo è
impossibile vedere nascere e crescere delle dune embrionali proprio
di fronte al cemento armato di una concessione balneare.
Concludo
con un'ultima foto, scattata in queste settimane, all'indomani di una
violenta mareggiata che ha riempito la battigia, di ceppi, tronchi,
canne. È tutta roba che proviene dal fiume, non vi sono alghe, o
piante marine, tra i ceppi scovo anche il cadavere di una rana. La
straordinaria massa di detriti organici fa eccezionalmente passare
inosservati i rifiuti di plastica, che pure affiorano qua e là. È
una foto che restituisce la spiaggia come luogo di approdo e
ripartenza, di accumulo e rilascio di energie, Un luogo selvaggio,
che non è fatto per essere pulito, e tantomeno “più pulito” di
prima.
Da
circa una settimana la Regione Abruzzo ha “riaperto” le spiagge,
consentendo ai concessionari di cominciare a effettuare le operazioni
di preparazione degli arenili. Ci siamo ovviamente preoccupati per il
Fratino che, nel frattempo, vista la ritrovata privacy e libertà di
movimento, potrebbe aver nidificato anche in zone off limits.
Trovandosi in una situazione di maggior rischio. Sembra finito
l'incanto. Gli operatori balneari, invece di soffermarsi con
attenzione su quanto è accaduto sulla spiaggia in loro assenza, per
trarne insegnamento, porteranno via tutto, ritornando a distruggere
quell'ambiente che pure gli dà sostentamento economico; porteranno
via tronchi, conchiglie, piante, e purtroppo spianeranno anche quel gruppo di
giovanissime dune - al quale mi sono nel frattempo affezionato - che
ora affollano una spiaggia altrimenti deserta. Chissà da quanti anni -
mi chiedo -non spuntavano delle dune embrionali in quel tratto di
spiaggia. Forse anche da 50, da quando è stata istituita la Giornata
della Terra.
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