Sabato 9 maggio si è celebrata ufficialmente la Giornata
Mondiale degli Uccelli Migratori -la rete che connette il mondo,
da molto prima che esistesse la Rete - che si festeggia dal 2006 nel
secondo fine settimana di questo mese. L'anno scorso, in questa
ricorrenza, presentavo il romanzo grafico "Dove
i rondoni a dormire" presso il Museo di Storia Naturale di
Trieste. Tornando di fatto sul luogo del "delitto" perché
è proprio nella città istriana che Zoe, la giovane protagonista,
salva un rondonotto caduto a terra. Un incontro che le apre nuovi
orizzonti e nuovi cieli, da volare con ali non metaforiche, in una
città di frontiera che più di ogni altra serba la vocazione al
viaggio, e tra le sue strade non può non contemplare quelle celesti.
Tante suggestioni, diramazioni di mondi, ricordi letterari, si
affollano alla mente e al cuore, stretti tra il mare e i primi
rilievi carsici: gli echi bizantini dell'arte secessionista, e Kafka, Rilke, l'odissea di Joyce, gli echi della grande guerra, dei versi di Saba, i Balcani e Sarajevo, persino Dante che si
affaccia dal castello di Duino o insinua il suo profilo tra le gallerie della strada costiera. Tante suggestioni che ti possono
illuminare sul senso ultimo di un libro, quello di spingerti a intraprendere tu stesso un viaggio, magari aiutato dal soffio
impetuoso della Bora. A Trieste la parola d'ordine è sconfinare, in
ogni dove, e la poesia ci riesce benissimo, la poesia e i
rondoni.
Non a caso, direi
allora, Trieste vanta fra le sue eccellenze Liberi
di volare, associazione con un centro di recupero, unico in
Italia, dedito esclusivamente ai rondoni, belestrucci e rondini. Una città dove, tra le amorevoli cure dei volontari del centro, come ho raccontato nel
mio libro, i rondoni riprendono il volo poeticamente, dall'alto di una
Stairway to heaven nella pista del campo di volo per ultraleggeri di
Prosecco. E non potrebbe esserci luogo più azzeccato.
A Trieste, l'anno
scorso ho avuto anche la fortuna di assistere al salvataggio di un
rondone "in diretta", da parte di Silvana Di Mauro, presidente
dell'associazione, dopo un'intervista radiofonica nella sede della
Rai friulana. La barista di uno dei locali del centro storico aveva telefonato
per un SOS.: guidando, un rondone, probabilmente stremato dalle
condizioni metereologiche di un maggio decisamente freddo e nuvoloso,
le era entrato nell'abitacolo. E quando arrivammo sul posto era davvero lì,
rannicchiato sotto l'acceleratore.
Quest'anno la
pandemia ha sconvolto tutti i nostri programmi e con essi la lunga
lista di incontri che la comunità rondonara stava organizzando,
dalla Sicilia alla Svizzera. Così non mi resta che rievocare quelli
dell'anno scorso, quando io e Mauro Ferri, eravamo all'apice della
nostra vita ON THE ROND(oni), e attraverso Venezia, eravamo approdati
a Trieste, da cui poi risalire l'11 maggio a Gemona e Venzone, dando
una sbirciata anche ai Grifoni del Cornino, per concludere infine
trionfalmente il tour il 12 maggio a Boltiere, in Provincia di
Bergamo, con la Festa dei Rondoni. Accolti dal sorriso e
dall'entusiasmo contagioso di Anna Luisa Faleschini e Luciano Gelfi,
che portavano un “cartello stradale” cucito a mano, ad indicare i
40mt dalla Torre Rondonara, il prezioso manufatto che è diventato il
cuore pulsante di questa cittadina del Bergamasco. Sulle ali dei
rondoni azzurri stampati sull'asfalto, come un'ombra gentile di
quelli in volo, siamo andati poi a visitare la prima piazza italiana
dedicata ai rondoni apprendendo via via tutti
i coloriti dettagli di un progetto didattico
straordinario, del quale non voglio parlare oltre, per lasciare che
siano i suoi protagonisti a farlo, attraverso questo
video, intitolato "Boltiere e la Torre dei Rondoni: UN
PROGETTO DI PARTECI-PASSIONE
"Nel
Friuli ricostruito il rondone cerca casa" questo invece era
il titolo del doppio evento a Gemona e Venzone. Per me che vengo
dall'Abruzzo, una regione che di terremoti ne sa qualcosina, è stata
la possibilità di visitare una ricostruzione spesso tirata in ballo
nei dibattiti televisivi, come esemplare. Pensavo di soffrire delle
devastazioni dell'evento sismico, come soffro in ogni città
sconquassata da una guerra o un terremoto, laddove edifici privi di
qualità in maglie ortogonali hanno sostituto per sempre tutta la
ricca tessitura dell'architettura storica, invece ho camminato con enorme
sollievo in centri restituiti pienamente alla loro identità, e soprattutto in
tempi brevi. Un miracolo, per noi che ultimamente siamo abituati a
vedere le macerie sostare immutate dal crollo anche per anni, prima
che succeda qualcosa. Eppure, in questi centri rinati a nuova vita,
qualcosa manca: te ne accorgi dal silenzio, soprattutto
all'imbrunire, quando con i loro caroselli i rondoni riempiono il
cielo, e il nostro cuore.
Ebbene sì, in
quella ricostruzione esemplare, nella comprensibile impazienza di
tornare a una vita normale, hanno trascurato un dettaglio che
trascurabile non è: in quelle case non ci vivevano solo gli uomini,
ma anche i rondoni, e con essi tutta la varia biodiversità urbana. E così, il cielo della
Carnia da quei giorni è privo di un elemento essenziale alla
percezione della primavera, al suo godimento pieno. Come un prato senza fiori. E un manipolo di persone attente al rapporto fra uomo e natura, guidato da
Arduino Candolini, tenta di riportarli, cosa non facile quando nella
progettazione degli edifici non si è tenuto conto di tutte le cavità
che nelle architetture storiche li ospitavano.
Si tratta di
un'evidenza toccante: in una tragedia come quella che colpì il
Friuli nel 1976, non perdiamo la casa solo noi, ma anche loro. La
nostra casa è dunque anche la loro. Eppure non ci pensiamo quasi
mai. Grazie ai rondoni il cielo è
più vicino. E dovunque siate nella strada delle vostre vite, alzate
gli occhi e una rete di corrispondenze vi accoglierà, se
farete la "sciocchezza" di buttarvi nel vuoto, all'incontrario.
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